Occhiali nell’arte : la prima rappresentazione artistica

La prima raffigurazione artistica in cui appaiono gli occhiali è l’affresco del pittore Tommaso da Modena (1326 – 1379), il quale ritrae il cardinale domenicano Ugo di Provenza, (1200 circa – 1263). L’opera risale al 1352, ed è conservata nella Sala Capitolare del convento di San Nicolò a Treviso.

Tommaso da Modena, Ritratti domenicani (Ugo di Provenza) – 1352 Treviso, ex Convento di San Niccolò, Sala del Capitolo

Non è noto se l’artista dipinse gli occhiali perché era sicuro che Ugo li portasse già un secolo prima oppure perché così immaginava. Nell’opera possiamo ammirare come gli occhiali sono rappresentati nei minimi particolari. Per esempio viene ben delineato il perno dell’occhiale che li tiene sul naso e che permette di richiuderli. Le lenti appaiono rotonde, mancano invece le stanghette laterali che apparirono soltanto nel XVIII secolo. Si trattava, con tutta probabilità, di lenti convesse destinate a correggere la presbiopia.

Chi ha inventato gli occhiali?

Salvino D’Armate probabilmente inventò gli occhiali intorno al 1285, anche se varie fonti suggeriscono un’origine precedente. Successivamento condivise l’invenzione del suo nuovo dispositivo con Alessandro della Spina, un monaco italiano, che li perferzionò e diffuse tale scoperta e per tale motivo alcuni suggeriscono lui come inventore degli occhiali.

Grandi pittori e le loro patologie oculari

Come la visione può influenzare l’esecuzione di un’opera d’arte e come l’arte può avere forti collegamenti con la visione ?

La storia dell’arte è piena di esempi di artisti cha hanno messo in risalto le loro capacità per superare le difficoltà alla visione.

In questo articolo cercheremo di analizzare le opere di grandi pittori di cui è stata documentata una patologia degli occhi.

Vincent Van Gogh

Non tutti sanno che Van Gogh era affetto da epilessia che curava con la digitale. Probabilmente come conseguenza di intossicazione cronica dovuta a questo farmaco, il pittore era affetto da xantopsia, un difetto di percezione dei colori, che gli faceva vedere tutto giallo.

V. Van Gogh, I falciatori : in lontananza Arles, 1888

Claude Monet

Contrariamente alle sue prime opere, Monet rappresentava i suoi dipindi privi di dettagli con forme sfuocate e maggior prevalenza di colori come giallo e rosso. In seguito all’intervento di cataratta nel 1923, i colori caldi delle sue opere fuorono sostituiti da colori freddi come il blu e il viola. Probabilmente l’effetto filtrante della cataratta diventata gialla o ambra scuro tratteneva i raggi blu, determinando una minore visione con prevalenza delle tonalità calde.

Oggi con l’intervento di cataratta si sostituisce la lente ingiallita ed opaca con un cristallino artificiale che ridà non solo il potere diottrico del cristallino, ma lo sostituisce come filtro per le onde di luce ultraviolette blu, che sono ritenute responsabili dei danni retinici.

Edward Munch

Edvard Munch, pittore norvegese, famoso per la sua opera “L’urlo”, all’età di 67 anni si trovò ad avere un problema retinico nell’occhio destro. Si può notare l’insorgenza, l’evoluzione e il riassorbirsi dello “scotoma” (macchia scura fissa nel campo visivo) nelle sue opere. Tale descrizione nelle sue opere ci fa intendere che evidentemente si potesse trattare di una emorragia vitreale.

E. Munch, Disturbed vision, 1930

Edgar Degas

I cambiamenti dello stile pittorico di Degas molto probabilmente sono state causate da una perdita progressiva della visione dovuta ad un danno progressivo maculare. Le opere di Degas del 1870 erano profondamente precise nei dettagli, i personaggi raffiguarati avevano tratti del volto ben distinti. Successivamente queste precisioni nei dettagli delle sue opere iniziarano a diminuire tra il 1880 e il 1890, probabilmente con la progressiva perdita della vista.

Paul Cézanne

Che Paul Cézanne fosse miope lo sapevano tutti, probabilmente il suo difetto visivo avrà condizionato il suo stile di pittura. I miopi vedono bene da vicino ma hanno una visione velata delle strutture più lontane e, nello spettro dei colori, riescono a focalizzare meglio quelli accesi, rosso o giallo. A sostegno di questa tesi, esistono testimonianze che riferiscono dell’avversione di Cézanne per gli occhiali.

P. Cézanne, Montagne Saint Victoire, 1904-1906

L’occhio di Horus e l’occhio di Ra

L’Occhio di Horus è un antico simbolo egizio di protezione, potere reale e buona salute. L’occhio di Horus è simile all’occhio di Ra, che appartiene a un dio diverso, Ra, ma rappresenta molti degli stessi concetti. Gli amuleti funerari erano spesso realizzati a forma di Occhio di Horus, che aveva lo scopo di proteggere il faraone nell’aldilà e di scongiurare il male. I marinai dell’antico Egitto e del Medio Oriente dipingevano spesso il simbolo sulla prua delle loro navi per garantire una navigazione sicura.

Occhio di Horus

Rappresentazione del Sole e della Luna

Gli egiziani spesso si riferivano al Sole e alla Luna come agli “occhi” di dei particolari. L’occhio destro del dio Horus, per esempio, era equiparato al sole e il suo occhio sinistro alla luna. A volte gli egiziani chiamavano l’occhio lunare “Occhio di Horus”, e l’occhio solare “Occhio di Ra”. L’emblema del Sole a forma di disco giallo o rosso nell’arte egizia rappresenta l’occhio di Ra. Questo emblema appare spesso in cima alle teste delle divinità associate al Sole, incluso lo stesso Ra, per indicare i loro legami con il Sole.

Mito di Ra e di Horus

L’Occhio di Ra o Occhio di Re è un essere nell’antica mitologia egizia che funziona come una controparte femminile del dio Sole Ra, considerata una forza violenta che sottomette i suoi nemici. L’Occhio è un’estensione del potere di Ra, equiparato al disco del sole, ma si comporta anche come un’entità indipendente, che può essere personificata da un’ampia varietà di dee egiziane. L’aspetto violento dell’Occhio difende Ra dagli agenti del disordine che minacciano il suo governo. Questo aspetto pericoloso della dea Occhio è spesso rappresentato da una leonessa o un cobra, simbolo di protezione e autorità reale.

Occhio di Ra

Secondo la mitologia egizia, Horus volle vendicare l’uccisione del padre Osiride, perpetrata dal fratello di quest’ultimo, Seth, ma nello scontro con lo zio perse l’occhio sinistro, che si divise in sei parti. Esse furono utilizzate per scrivere le frazioni, aventi il numero 64 come denominatore comune. Nella vita quotidiana, era usato come “unità di misura dei cereali”: ciascuna parte aveva un valore di frazione dell’intero, così come di rappresentazione dei sensi umani. In particolare :

Occhio di Horus diviso in 6 parti con le relative frazioni
  • la parte verso il naso rappresentava la frazione 12 e l’olfatto (il naso);
  • la pupilla rappresentava la frazione 14 e la vista (la luce);
  • il sopracciglio rappresentava la frazione 18 e il pensiero (la mente);
  • la parte verso l’orecchio rappresentava la frazione 116 e l’udito (l’orecchio);
  • la coda curva rappresentava la frazione 132 e il gusto (il germoglio del frumento);
  • il piede rappresentava la frazione 164 e il tatto (il piede che tocca terra).

Sommando le varie parti il totale è di 6364 , il restante 164 si pensava fosse stato aggiunto dal dio Thot, sotto forma di poteri magici.

Kylix ad occhioni

La kylix è una coppa da vino in ceramica, il cui uso, nell’antica Grecia, è attestato a partire dal VI secolo a.C. Coppa da libagione e da bevuta raggiunse il massimo della diffusione a partire dalla fine del VI secolo rimanendo in auge fino al IV secolo a.C., quando il kantharos, l’elegante calice a volute dei rituali dionisiaci, ne prese il posto quale coppa da vino più diffusa.

Nella classificazione di John Beazley, l’ultimo quarto del VI secolo a.C. vede il differenziarsi di tre forme principali di manufatti.

Alla forma di tipo A appartiene la maggior parte delle coppe a occhioni, originariamente a figure nere, così chiamate per la presenza della raffigurazione «ad occhioni», una simbologia che doveva avere una presumibile funzione apotropaica.

Nella coppa ad occhioni, il corpo è largo e poco profondo, il labbro non svasato e il suo profilo prolunga senza alcuna discontinuità il disegno del corpo. Lo stelo più corto e nettamente separato dall’invaso, è rappresentato con la linea di giunzione evidenziata da un prominente anello.

I più antichi esemplari rinvenuti sembrano indicare in Exekias, vasaio e ceramografo, l’invenzione sia di questa forma che della decorazione ad occhioni che servirà da modello anche nella successiva fase a figure rosse.

La celebre kylix a occhioni di Exekias rappresenta il mito di Dioniso e dei pirati Tirreni trasformati in delfini. 530 a.C. – Vulci. Conservata presso Staatliche Antikensammlungen, Monaco di Baviera.

La parabola dei Ciechi di Bruegel il Vecchio

La Parabola dei ciechi (De parabel der blinden) è un dipinto a tempera su tela (86×154 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1568 circa e conservato nel Museo nazionale di Capodimonte di Napoli.

Il pittore olandese Pieter Bruegel il Vecchio traduce in immagini la parabola evangelica in cui Cristo parla dei Farisei: “Lasciateli stare. Sotto guide cieche. Se, dunque, un cieco guida un altro cieco, entrambi cadranno in una fossa” (Matteo 15:14).

In questo dipinto appare molto evidente la distanza stilistica di Bruegel dalla tradizione pittorica di rappresentare i ciechi quasi sempre con occhi chiusi, come figure ascetiche ed idealmente beneficiari di doni celestiali.

Inoltre il pittore, ad ogni uomo raffigurato assegna una patologia oculare diversa. Molti esperti, anche se con qualche disaccordo diagonistico, hanno potuto identificare le malattie, tranne al primo cieco che essendo rovesciato sulla schiena non mostra il volto. Nel secondo i bulbi oculari sono stati enucleati ed eviscerati; il terzo soffre di leucoma corneale, il quarto di atrofia del nervo ottico; il quinto fotofobico con una percezione visiva nulla; infine il sesto presenta danni da pemfigoide bolloso.

L’Occhio di Magritte

Il cielo è un riflesso del mondo esterno oppure è il riflesso dell’immagine interiore della persona a cui appartiene l’occhio?

Renè Magritte, Il falso specchio – 1928 – Olio su tela, 54 x 80,9 cm. The Museum of Modern Art, New York

L’opera surrealista di René Magritte rappresenta un grande occhio che esclude il resto del volto a cui appartiene. L’iride appare come una finestra circolare che si affaccia su un cielo attraversato da nuvole bianche, mentre la pupilla è raffigurata come una sorta di sole nero . Magritte ha utilizzato il tipico procedimento dei Surrealisti, il paradosso visivo, che consiste nell’accostare elementi che appartengono all’esperienza quotidiana ma che non hanno alcuna relazione logica fra loro. In questo modo costringe l’osservatore ad usare la sua immaginazione per dare senso all’opera. L’ambiguità è evidente anche dal titolo “Il falso Specchio”.

L’Occhio di Escher

Maurits Cornelis Escher 1898-1972 fu un incisore e grafico olandese. Le sue opere sono molto amate da scienziati, fisici e matematici che apprezzano il suo uso razionale di figure poliedriche, distorsioni geometriche ed interpretazioni originali del mondo della scienza, ottenendo effetti paradossali.

In questa opera l’artista ha spiegato che ha voluto rappresentare “ il suo occhio notevolmente ingrandito in uno specchio concavo. La pupilla riflette l’immagine di colui che guida noi tutti” : nella pupilla, infatti, è chiaramente visibile un teschio, che allude al destino dell’uomo e alla tragicità della vicenda umana.

Provando gli Occhiali della Nonna – Théodore Gérard – 1867

Théodore Gérard – Trying On Grandmother’s Spectacles – 1867 – Olio su tela

Théodore Gérard (1829-1895) frequentò l’Accademia di Gand e fu attivo soprattutto come pittore di genere e ritrattista. I suoi viaggi lo condussero tra l’altro in Austria e in Germania, dipingendo la vita nella campagna e nei villaggi, affascinato dalla serenità dei soggetti. Le sue opere vinsero numerose medaglie alle esposizioni come anche nel 1873 a Vienna. Negli ultimi anni Gerard insegnò come professore presso l’Accademia di Belle Arti a Bruxelles. Il pittore muore nel 1895 e alcune sue opere sono esposte nel Museo di Bruxelles, di Gand e di Courtrai.

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